ALCUNI ACCENNI DI STORIA SULLA MARATONA A CURA DI CORRERE.ORG

Dorando Pietri

Era ad appena 200 metri dal traguardo. Gli oltre 75.000 spettatori dello stadio erano tutti in trepidazione per lui. Attorno a lui sulla pista i giudici di gara e persino alcuni medici accorsi per soccorrerlo. Pietri cadde altre quattro volte, ed altrettante fu aiutato a rialzarsi, ma continuò barcollando ad avanzare verso l'arrivo. Quando finalmente riuscì a tagliare il traguardo, sorretto da un giudice e un medico, era totalmente esausto.

Il suo tempo finale fu di 2h54'46"4 su 42,195 km, ma solo per percorrere gli ultimi 500 metri impiegò quasi dieci minuti. Oltre il traguardo svenne e fu portato fuori dalla pista su una barella. Poco dopo di lui arrivò lo statunitense Johnny Hayes. La squadra americana presentò immediatamente un reclamo per l'aiuto ricevuto da Pietri, che venne prontamente accolto. Il correggese fu squalificato e cancellato dall'ordine di arrivo della gara.

Il dramma di Dorando Pietri commosse tutti gli spettatori dello stadio. Quasi a compensarlo della mancata medaglia olimpica, la regina Alessandra lo premiò con una coppa d'argento dorato. A proporre l'assegnazione del riconoscimento sarebbe stato lo scrittore Arthur Conan Doyle, creatore del famoso investigatore Sherlock Holmes, che secondo alcuni era anche l'addetto con il megafono che sorresse Pietri al momento dell'arrivo. Tale affermazione non ha però alcun fondamento: i due personaggi che affiancano Pietri, in quella che è una delle più note e significative immagini dell'olimpismo moderno, sono, rispettivamente, alla destra dell'atleta - con il megafono - il giudice di gara Jack Andrew ed alla sinistra il capo dello staff medico, il dottor Michael Bulger. Conan Doyle era in effetti presente in tribuna, a pochi metri dalla linea del traguardo, dato che era stato incaricato da Lord Northcliffe di redigere la cronaca della gara per il Daily Mail il resoconto del giornalista-scrittore terminò con le parole:

 

«La grande impresa dell'italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici.»

Successivamente Conan Doyle suggerì al Daily Mail di conferire un premio in danaro a Pietri, sotto forma di sottoscrizione per permettergli l'apertura di una panetteria, una volta rientrato in Italia. La proposta ebbe successo e vennero raccolte trecento sterline. Lo stesso Doyle avviò la raccolta donando cinque sterline.

Il racconto della sua impresa eroica, ma sfortunata, fece immediatamente il giro del mondo. Da un giorno all'altro Dorando Pietri divenne una celebrità, in Italia e all'estero. Le sue gesta colpirono la fantasia del compositore Irving Berlin, che gli dedicò addirittura una canzone intitolata Dorando.Paradossalmente, la mancata vittoria olimpica fu la chiave del suo successo.  Sull'onda della sua fama ricevette presto un lauto ingaggio per una serie di gare-esibizione negli Stati Uniti.

Il dopo Olimpiadi

Erano gli anni d'oro delle sfide di resistenza, create da imprenditori del mondo dello spettacolo: si organizzavano gare lunghissime di boxe, canottaggio e corsa. Tra queste la maratona aveva un posto d'onore, ricreata pochi anni prima come evento coronante delle Olimpiadi, capace di portare gli uomini allo stremo in una lotta estenuante contro la fatica. Non era raro veder accorrere migliaia di persone per assistere a gare che duravano diverse ore.

Il 25 novembre 1908, al Madison Square Garden di New York, andò in scena la rivincita tra Pietri e Hayes. Il richiamo era enorme: ventimila spettatori (tra cui molti italo-americani), ma altre diecimila persone erano rimaste fuori perché non c'erano più biglietti.

I due atleti si sfidarono in pista sulla distanza della maratona (262 giri), e dopo aver corso testa a testa per quasi tutta la gara, alla fine Pietri riuscì a vincere staccando Hayes negli ultimi 500 metri, per l'immensa gioia degli immigrati di origine italiana presenti. Con questa gara Pietri passa ufficialmente al professionismo, in un clima che distingue fortemente l'atleta amatoriale da quello retribuito, separando gare e risultati delle due categorie.

Una seconda sfida disputata il 15 marzo 1909 venne anch'essa vinta dall'italiano. Durante la trasferta negli Stati Uniti Pietri partecipò a 22 gare, con distanze variabili dalle 10 miglia alla maratona, e ne vinse 17. Tra gli atleti affrontati vi fu anche Tom Longboat, il più forte nordamericano sulla maratona. Pietri rientrò in Italia nel maggio 1909, e proseguì per altri due anni l'attività professionistica a livello nazionale e all'estero. La sua ultima maratona fu a Buenos Aires, il 24 maggio 1910, dove chiuse con il suo primato personale, 2h38'48"2.

L'addio alle corse

La gara d'addio, in Italia, si svolse il 3 settembre 1911 a Parma: una 15 km, vinta agevolmente. L'ultima gara all'estero avvenne invece il 15 ottobre dello stesso anno, a Göteborg in Svezia, e si concluse con l'ennesima vittoria di Pietri. Il giorno dopo compì 26 anni. In tre anni di professionismo e 46 gare, Dorando Pietri guadagnò oltre 200.000 lire solo di premi, una cifra enorme per l'epoca. In più riceveva dal suo agente una diaria settimanale di 1250 lire.

Investì i suoi guadagni in un'attività alberghiera assieme al fratello, ma come imprenditore non mostrò lo stesso talento che aveva come sportivo. Dopo il fallimento dell'hotel, si trasferì nel 1923 a Sanremo, dove aprì un'autorimessa. Visse il resto della sua vita nella città dei fiori.

Pietri muore nel 1942, all'età di 56 anni, per un attacco cardiaco. Viene sepolto nel cimitero di Valle Armea, nei pressi di Sanremo. La coppa donata a Pietri dalla regina Alessandra è oggi custodita dalla «Società Ginnastica La Patria 1879» in una cassetta di sicurezza della filiale Unicredit di Carpi (MO), nello stesso edificio che fu il "Grand Hotel Dorando". Sul trofeo è incisa questa dedica:

 

«To Pietri Dorando - In remembrance of the Marathon race from Windsor to the Stadium - July. 24. 1908 From Queen Alexandra.»

«A Pietri Dorando - In ricordo della maratona da Windsor allo stadio - 24 luglio 1908. Dalla regina Alessandra.»

STORIA DELLA MARATONA

Nel 490 a. C., nella pianura di Maratona, nei pressi di Atene, fu combattuta l'omonima grande battaglia tra i Persiani e gli Ateniesi. Si trattò di una di quegli accadimenti che ha avuto rilevanza nella storia del mondo: fu considerata la prima importante e decisiva vittoria degli europei sugli orientali.

 

Gli invasori Persiani volevano punire i Greci che anni prima avevano appoggiato la rivolta degli Ioni. Sbarcarono nella baia di Maratona, a pochi chilometri da Atene, con numerose chiatte scortate da 600 triremi, che trasportavano, si presume 50.000 uomini in pieno assetto di guerra, nonché armi, equipaggiamenti e perfino la cavalleria. Secondo la tradizione, i Persiani avrebbero dovuto comprendere tra le loro file 200/600.000 unità, ma la cifra è poco attendibile in quanto gli antichi non erano in grado di trasportare in mare in una sola volta più di 20/30.000 persone.

 

Messe in secco le navi aspettarono nella pianura di Maratona sperando che in Atene insorgesse la ribellione fomentata da alcuni seguaci dell'armata persiana. Saputo dell'accentramento delle forze dei Persiani, gli Ateniesi, desiderosi di scontrarsi con il nemico direttamente sul luogo dello sbarco, lontano dalla loro città, portarono il loro esercito di 11000 soldati su di un altura, in modo da controllare i nemici e le vie di accesso ad Atene, in attesa che arrivassero soccorsi dagli alleati di Sparta, a cui nel frattempo avevano chiesto aiuto. Gli Ateniesi, dopo un paio di settimane, vedendo una parte dei Persiani reimbarcarsi con lo scopo di attaccare Atene anche da un'altro versante, decisero, attraverso un celebre consiglio di guerra formato da 10 strateghi, di attaccare senza aspettare rinforzi dagli Spartani, ancora indecisi sul da farsi per motivi religiosi. Gli orientali erano superiori numericamente, ma di gran lunga inferiori tatticamente.

 

 

La battaglia si svolse, probabilmente, il 10 agosto. Le truppe di Atene, al passo di corsa urtarono violentemente contro l'esercito nemico. Secondo Erodoto, la corsa fu di circa un chilometro e mezzo; più probabilmente invece, furono solo 150 metri, perché si ritiene che una tale distanza da parte di truppe pesantemente armate fosse inconcepibile da coprire. I Persiani ebbero la peggio e furono costretti a reimbarcarsi. La tradizione racconta di perdite umane per circa 6400 combattenti (cifra probabilmente esagerata), contro i 192 morti Ateniesi (cifra esatta in quanto Erodoto si basò sull'elenco dei caduti). Vinta la battaglia, l'esercito ateniese, dopo un brevissimo riposo, tornò indietro, coprendo con una marcia rapidissima (11.000 uomini, quasi al passo di corsa!) i 34 chilometri che li separavano da Atene. Avevano paura, infatti, che le navi Persiane in mare attaccassero la città sguarnita, ma questo non avvenne. Comunque nonostante questa importante e schiacciante vittoria, l'anno successivo i Persiani entrarono in Atene.

 

In questo contesto si colloca la figura mitica dell'ateniese Fidìppide, di professione Fidippide (uomini capaci di correre per un intero giorno, o più a lungo; molto importanti nella vita delle antiche città greche ed ancora più importanti per l'esercito, poiché rappresentavano generalmente i soli mezzi di comunicazione; alcuni di loro erano in grado di percorrere 200 chilometri in 15 ore!), il quale fu mandato prima della battaglia, a Sparta per chiedere aiuto. Corse, tagliando per le colline, per circa 250 chilometri, impiegando 2 giorni per poi tornare di nuovo indietro. Erodoto ci tramanda che Fidìppide raggiunse Sparta "Nel giorno immediatamente successivo" alla sua partenza, e cioè che impiegò non più di 48 ore e tornò presto indietro, se non immediatamente, il che farebbe pensare che abbia corso per 500 chilometri in soli 3 o 4 giorni. Inoltre, sempre secondo l'illustre storico, Fidìppide raccontò che durante il ritorno, nelle vicinanze del monte Partenio, si imbatté nel dio Pan, che esortava gli Ateniesi a venerarlo per ottenere la vittoria. Dopo la battaglia, infine, corse fino ad Atene, per 42 chilometri morendo nei pressi dell'Acropoli, probabilmente per la fatica (!), dopo aver annunciato la vittoria.

I numeri della spedizione

Per valutare l'entità della spedizione persiana dobbiamo tenere presente che alcune triremi dovevano essere senza carico, per poter riportare in Persia il bottino di uomini, e altre invece piene di rifornimenti per le truppe e foraggio per i cavalli (approposito: secondo Plinio l'erba medica, ovvero della Media, è arrivata in Europa proprio con quelle triremi).

Una trireme aveva un equipaggio complessivo massimo di circa 200 uomini, fissando il tetto fisico per una flotta di 600 triremi a 120.000 uomini.

Per fare spazio a 30-40 fanti, una trireme doveva ridurre il numero di rematori a 60, portando il suo equipaggio a 80-90 uomini: ciò riduce lla quantità massima della spedizione a 54.000 marinai e 18.000 combattenti.

Come premesso, però, alcune triremi dovevano essere vuote, riducendo ulteriormente questi numeri.

Inoltre, un cavaliere con il suo cavallo occupavano credibilmente il posto di almeno 3 fanti, per cui il trasporto di 1.000 cavalieri richiedeva 100 triremi. (N.B.: altre stime considerano 30 cavalli lo stivaggio possibile

su una trireme, ma credo che in realtà abbiano valutato il semplice trasporto di un animale e non di un'unità militare).

La maggiore unità persiana era il baivarabam di 10.000 uomini: baivarabam significa proprio decina di migliaia. Questo a sua volta era composto da 10 hazarabam ("migliaia"). Quindi, dato il limite di spazio disponibile sulle triremi, è improbabile che le truppe della spedizione fossero maggiori di un baivarabam integrato da qualche hazarabam o contingente di entità simile di truppe di supporto.

La mia personalissima stima del corpo di spedizione persiano è dunque di 10.000 fanti e 1.000 cavalieri persiani, 2.000 arcieri sciti, 4-5.000 tra partigiani di Ippia, opliti ioni ed eoli (ai quali si aggiunsero forse un altro migliaio di opliti mercenari durante le incursioni della flotta nelle isole greche), e truppe originarie di Siria -- il luogo dell'imbarco -- e territori limitrofi: assiri, armeni, cappadoci, ecc.

Verso Maratona

La spedizione ha un completo successo iniziale: attraversa le Cicladi, piegando i riottosi con la forza delle armi, reclutando truppe e prendendo ostaggi, poi sbarca in Eubea, travolgendo la resistenza di Caristo prima ed Eretria poi, catturando un gran numero di prigionieri.

La cavalleria veniva usata per creare immediatamente un perimetro di sicurezza nella zona di sbarco, e svolse il suo compito con efficiacia. dimostrando l'utilità delle speciali navi da trasporto preparate per quel compito.

Gli obiettivi strategici erano quasi tutti raggiunti. Mancava solo una puntata verso il territorio ateniese per completarli.

Su consiglio di Ippia venne scelto come fulcro per la minaccia contro l'Attica l'ampia piana di Maratona a circa 40 km. a nord-est di Atene. Proprio su quelle spiaggie cinquant'anni prima Pisistrato, padre di Ippia, era sbarcato per riconquistare il potere ad Atene e la scelta sembrava ben augurante.

Nella vicina isola di Agilia venne dislocata una parte della flotta, i prigionieri catturati fino a quel momento e le truppe necessarie a controllarli, mentre il grosso della flotta approdò nella baia di Maratona.

Le coste dell'Attica non forniscono molti altri approdi ma, ci dice Erodoto, si decise per Maratona perchè particolarmente adatta all'impiego della pericolosa cavalleria persiana.

In realtà questa affermazione può essere condivisa solo parzialmente: in effetti la pianura si presta a manovre di cavalleria meglio della media del ruvido territorio greco, ma certamente presenta in sé altri gravi inconvenienti, di cui probabilmente i persiani si accorsero presto.

Milziade venne dunque praticamente delegato al comando dagli strateghi favorevoli alla battaglia, che di giorno in giorno cedevano a lui la guida dell'esercito.

Se non vogliamo forzare il racconto di Erodoto, questo procedimento non aiuta certo i greci a rispettare appieno il principio dell'unità di comando che avrebbe garantito a Milziade di sfruttare eventuali

occasioni favorevoli.

A meno che Milziade e i greci non fossero stati prediletti dalla dea Fortuna, l'occasione giusta avrebbe potuto presentarsi in quel 50% dei giorni in cui sarebbe stato al comando uno stratega contrario alla battaglia. Anzi: Erodoto precisa che Milziade volle attendere per l'attacco il giorno in cui gli sarebbe effettivamente spettato il comando, per cui le probabilità di avere fortuna scendevano ad 1 su 10.

Questa affermazione dello storico greco è in contraddizione con un'altra tradizione, secondo la quale gli ionici nell'armata persiana tradirono, mandando agli ateniesi il messaggio: "la cavalleria è via", precipitando così la decisione dello scontro.

La mattina dell'11 settembre alle prime luci dell'alba i greci partirono all'attacco: era iniziata la battaglia di Maratona.

Dov'è la cavalleria?

Un bel colpo di fortuna per i greci sarebbe stata l'assenza della tanto temuta cavalleria persiana dal campo di battaglia. E in effetti questo accadde quel fatidico giorno, durante il quale sembra proprio che la cavalleria non venne impiegata affatto o soltanto in misura ridotta.

Comunque sono riluttante a pensare che gli ateniesi e Milziade in particolare siano stati solo fortunati: ritengo ci sia qualche cosa che Erodoto non ci racconta, un comportamento ripetuto e metodico della cavalleria persiana di cui i greci approfittarono.

E' stato infatti ipotizzato che la cavalleria fosse stata imbarcata sulle triremi proprio nelle ore antecedenti la battaglia -- e qui saremmo alla fortuna sfacciata -- oppure che, più probabilmente, si fosse allontanata nel quotidiano compito di devastazione del territorio.

Questo però induce un problema: dopo la sconfitta i persiani si imbarcarono in tutta fretta e partirono verso Atene. Quindi delle due l'una: o la cavalleria era già imbarcata o le operazioni di imbarco erano sufficientemente semplici da poter essere effettuate anche in condizioni di emergenza.

Se questa seconda ipotesi fosse vera allora si potrebbe aprire un'ulteriore possibilità: che le triremi venissero utilizzate come stalle e che tutte le sere i cavalli vi venissero ricoverati per la notte.

La mattina la cavalleria poi si schierava ai fianchi della fanteria, dopo che questa aveva preso posizione.

Il giorno della battaglia, però, i greci anticiparono i tempi e ingaggiarono i persiani prima dell'arrivo della cavalleria.

Dopo la battaglia

L'energia con la quale Milziade guidò la falange all'attacco era stata importante, ma non fu decisiva ai fini della conclusione della campagna.

Ciò che chiuse la prima guerra persiana fu l'eccezionale marcia di ritorno ad Atene, che la falange completò più velocemente della flotta persiana, costringendola ad abbandonare i propri progetti.

Anticipando la flotta persiana, infatti, gli ateniesi spegnevano gli eventuali entusiasmi del partito pisistratide e nel contempo obbligavano i persiani ad un altro sbarco in condizioni molto peggiori del precedente.

Un aspetto della manovra navale persiana lascia perplessi. Racconta Erodoto: "i barbari presero il largo e, caricati gi schiavi di Eretria dall'isola dove li avevano lasciati, doppiarono capo Sunio, con l'intenzione di arrivare ad Atene prima delle truppe ateniesi".

Ma se questa era l'intenzione dei persiani -- e non c'é proprio da dubitarne -- il modo migliore per realizzarla non era certo quello di attardarsi caricando dei prigionieri.

Che Erodoto sia in errore anche in questo caso, confondendo forse altri movimenti della flotta, non possiamo dirlo: quando la flotta persiana la sera dell'11 settembre arrivò nella baia di Phaleron trovò ad attenderla la falange schierata e fece rotta verso Mykonos (comunque una piacevolissima destinazione) prima di ritornare in Asia.

 

 

Spesso la storia si fa beffe dei programmi degli uomini.

Questo è accaduto nella prima guerra persiana: ben ideata da Dario e ben progettata e condotta dai suoi comandanti, con gli obiettivi strategici prefissati quasi tutti ottenuti.

Ma un unico piccolo difetto: una conseguenza non prevista e non preventivabile che ha influenzato pesantemente il corso della storia, facendo fallire i successivi tentativi di conquista della Grecia da parte della dinastia Achemenide e anzi aprendo la strada alla sua rovina.

Le origini del conflitto

Tra la fine del VI secolo e l'inizio del V, le traiettorie espansive dell'impero persiano incrociarono l'effervescente civiltà greca: innanzitutto le colonie greche della Ionia in Asia Minore, che vennero inglobate pur mantenendo una certa autonomia, e in successione città tumultuosamente vitali come Atene, con la quale intrattenne difficili rapporti diplomatici.

Ad Atene si stava consolidando al potere un dinamico ed intraprendente partito democratico: tanto intraprendente da partecipare alla rivolta che i greci della Ionia montarono contro l'Impero persiano e che portò addirittura all'occupazione e alla distruzione di Sardi, una delle capitali dell'impero.

L'imperatore Dario, reduce da una non troppo felice campagna nella Scitia danubiana, innanzitutto domò la rivolta della Ionia e quindi rivolse la propria attenzione ai greci della madrepatria.

La strategia di Dario

Gli obiettivi strategici della campagna militare di Dario contro la Grecia erano precisi e circoscritti. Forse non ben ordinati in uno schema di priorità, però sufficientemente delineati e individuati.

Dario aveva 3 obiettivi:

rinsaldare il suo potere tra i turbolenti greci della Ionia, suoi sudditi in Asia Minore, di cui aveva da poco sedato la ribellione;>

punire l'arroganza dei cittadini di Eretria e Atene, che avevano partecipato alla rivolta, facendone prigionieri la quantità necessaria a colonizzare le sue province disabitate;

sostenere le fazioni pro-persiane nelle città greche indipendenti con un'azione intimidatoria;.

Per raggiungere questi obiettivi, Dario consegnò ad Artaferne, suo nipote, e a Dati, di origne meda, un esercito e una flotta di 600 triremi. Dati, probabilmente il comandante in capo della spedizione, non viene descritto da Erodoto come un barbaro spietato e feroce, ma al contrario come un uomo dotato di un profondo senso religioso e rispettoso per gli avversari.

L'esercito comprendeva un contingente di cavalleria, per il trasporto del quale erano state adattate speciali triremi: non è chiaro se queste fossero contate nelle seicento indicate da Erodoto, oppure aggiuntive.

Una potente spedizione anfibia dotata della mobilità e della imprevedibilità strategica combinate della flotta e della cavalleria.

Accompagnava la spedizione Ippia, figlio del tiranno ateniese Pisistrato, che contava sull'aiuto dei persiani per tornare al potere ad Atene. Ippia risiedeva alla corte di Dario da molti anni, ma garantiva che i suoi partigiani in città aspettavano solo il momento buono per rovesciare il partito democratico. In ogni caso la conoscenza del terreno di Ippia sarebbe giunta preziosa al momento di portare la minacccia ad Atene.

Dorando Pietri foto originale 24 luglio 1908
Militari persiani, probabilmente appartenenti al corpo degli Immortali; fregio nel palazzo di Dario a Susa, ora conservato al Museo del Louvre